De Sisti: “Mi rivedo in Sousa, può vincere il terzo Scudetto”

De Sisti: “Mi rivedo in Sousa, può vincere il terzo Scudetto”

Giancarlo De Sisti, detto “Picchio”: il capitano del secondo Scudetto del 1969 e l’allenatore del quasi Scudetto del 1982. Quello scippato ai viola dalla Juventus all’ultima giornata, da cui scaturì il motto del Brivido Sportivo: “Meglio secondi che ladri”.

Da giocatore era un regista che già allenava sul campo, un po’ come Paolo Sousa, in panchina era un grande tecnico, capace di allestire una squadra pratica e bella allo stesso tempo, proprio come sta facendo il portoghese in questa sua prima stagione viola.
Naturale, dunque, paragonare i due personaggi , un parallelo sdoganato dallo stesso  “Picchio”, nell’intervista concessa in esclusiva al Brivido Sportivo nella quale si racconta, ricordando gioie e delusioni degli anni passati e vivendo con estrema felicità il momento magico di questa Fiorentina.
“Damme del tu France’”: l’intervista parte così. Con la sua gentilezza e innata spontaneità, De Sisti riesce a far vivere le emozioni dello Scudetto del 69 e della maestosa Fiorentina 81-82 anche a chi come noi, per ragioni di età, non le ha vissute in prima persona.
Come ha visto l’arrivo in viola di Sousa?
“Con curiosità, come molti addetti ai lavori che lo conoscevano per fama e per quello che stava facendo, ma  non completamente per il suo modo di lavorare, di pensare e di vivere di calcio. La mia conoscenza del mister portoghese era superficiale, adesso domenica dopo domenica lo sto apprezzando sempre di più e sta facendo conoscere un lato di sé sconosciuto a molti”.
Lei che era un grande regista in campo apprezzava il Paulo Sousa calciatore che giocava in un ruolo simile al suo?
“Sì, era un buonissimo giocatore. Per certi versi mi somigliava, ma correva molto di più del sottoscritto. Era una vera e propria mezz’ala, come si diceva in altri periodi della vita calcistica. Lui  correva per sé e per la squadra e grazie al pizzico di fantasia, innato nel suo essere, riusciva ad emergere in qualsiasi partita”.
L’importanza di aver giocato a centrocampo, in cabina di regia, quanto può essere importante per la successiva carriera di un allenatore?
“Molto e lo dico per convenienza. Ricordo la tesi del grande Liedholm estimatore di notevoli paradossi:  inevitabilmente un centrocampista, essendo sempre nel cuore del gioco, aveva la possibilità di vivere meglio l’esperienza che avrebbe quindi in seguito avuto in panchina. Imparare a controllare il gioco ad essere circondato da persone che contano su di te è essenziale per  sviluppare il sapere,  la brillantezza e  capacità oltre la media. In generale un centrocampista che si siede in panchina ha qualcosa in più. E lo dico anche in difesa della categoria”.
Lei è tra i pochi allenatori che, nella stagione 81-82, è riuscito a portare la Fiorentina in testa alla classifica, si rivede in Paulo Sousa e nel suo lavoro?
“In un certo senso mi rivedo in lui. Da giocatore anch’io, sotto la gestione Liedholm e Pesaola, ero già allenatore in campo. Purtroppo nel momento in cui ero un giovane allenatore rampante, pronto a decollare, al momento della consacrazione vera e propria una piccola interferenza (i problemi di salute e l’operazione alla testa)  mi ha fatto perdere del tempo prezioso e tutto ciò che avevo guadagnato l’ho perso senza neanche accorgermene. Quello è stato un grande rammarico, stavo lavorando bene. Ed è stato anche un gran peccato non aver vinto quel campionato da allenatore. Altrimenti, detto tra me e te, il caro Renzi avrebbe avuto più difficoltà ed essere eletto sindaco: da calciatore della Fiorentina con il secondo scudetto sul petto e da allenatore del terzo tricolore, sarei diventato un tale idolo in città da poter aspirare alla carica di sindaco (scherza ndr). Ridendo, lo sono ancora adesso, perché quando torno a Firenze mi sento a casa e sono sempre circondato da grande stima ed affetto. Dico tutto ciò con un po’ di malinconia, ma era scritto del destino. E in fondo va bene così… siamo qui a parlarci e direi che comunque è andata bene”.
Il punto di forza di questa Fiorentina è la squadra. Quanto incide su questo il lavoro di Paulo Sousa?
“Molto sia nel comportamento collettivo, poiché si nota la sua mano ovunque, che a livello individuale, perché sta facendo sentire ogni giocatore al centro della squadra e con la piena fiducia del tecnico addosso. Certo è che non si può “buttare tutto a mare”, ero un grande stimatore di Montella, che ha fatto molto bene alla Fiorentina, lasciando una squadra compatta e uno spogliatoio solido. Bisogna anche dire che grazie a tutto questo Sousa è stato facilitato nell’approccio”.
Da esperto di calcio, mi dice due aggettivi che descrivono al meglio il tecnico Paulo Sousa?
“Ancora non lo conosco molto bene però sicuramente è attento, capace e in linea con i desideri della squadra, della città e della società”.
Che effetto le fa vedere la Fiorentina in testa, proprio come allora, e sapere che Firenze sta sognando lo Scudetto come accadde sotto la sua gestione nei primi anni 80?
“La Fiorentina sta facendo della grandi cose, è un’ottima squadra e merita di stare nella posizione dove si trova. Certo che, adesso più che mai, si vedrà il vero valore e la potenzialità di questa squadra, dopo Napoli e Roma si trarrà una linea più marcata. Ad ogni vittoria si prende autostima, ed è sempre più facile andare avanti affrontando qualsiasi squadra. Come si dice: “vincere aiuta a vincere”. Ma non bisogna precorrere i tempi. L’entusiasmo è lecito, fa bene a tutti, però va sempre usato con cautela”.
Che ricordi ha del 16 maggio 1982, l’ultima giornata del campionato 81-82 che, tra mille polemiche, sancì la fine del grande sogno tricolore della sua Fiorentina?
“Provo ancora molta delusione e averto ancora la consapevolezza di aver avuto a disposizione una squadra di assoluto valore e una società che stava lavorando per vincere lo Scudetto. Avevamo tutte le possibilità per farlo, eravamo ad un passo dal traguardo e cause di forza maggiore ci hanno impedito di cucircelo sul petto. La cosa più ingiusta è stata l’ultima partita di campionato quando è stato annullato quel gol a Ciccio Graziani, assolutamente regolare. Me lo sogno ancora la notte. Non voglio aggiungere altro per non riaprire la ferita. Ma è impossibile pensar bene”.
Si ricorda del Brivido Sportivo, in quegli anni diretto da Paolo Melani, che ideò il famoso motto: “Meglio secondi che ladri”?
“E come no… quello slogan è entrato nella mente di tutti. Ancora oggi a casa ho la cartolina che ritrae il leone e la zebra. Indimenticabile testimonianza della migliore ironia fiorentina”.
Da capitano della Fiorentina yè yè che regalò l’ultimo Scudetto a Firenze, pensa che la squadra di Sousa potrà regalare la stessa gioia ai tifosi viola?
“Quelle sono gioie indimenticabili. Tutto è possibile, perché no?, spero che la Fiorentina resti in vetta il più a lungo possibile, magari fino alla fine. Firenze si merita di rivivere una giornata come quella che vivemmo noi del gruppo di Pesaola”.
Pensa che per raggiungere il traguardo questa squadra abbia bisogno di innesti a gennaio?
“Bisogna vedere a fine dicembre come sarà la classifica, se ci sarà ancora la possibilità di arrivare molto in alto non credo che la società  si tirerà indietro nel cercare alcuni innesti importanti”.
Chi è il calciatore simbolo di questa squadra?
“Difficile da dire. Stanno facendo bene tutti, mi piace pensare che sia Gonzalo, il capitano. Dà sempre il contributo a ogni partita e stimola gli altri. Anche Ilicic sta facendo cose grandiose, Kalinic è una conferma anche nel campionato italiano e che dire di Borja Valero? Un signor giocatore. Un condottiero vero”.
Dunque lei ci crede davvero in questa Fiorentina?
“Sì e spero che si mantenga in vetta il più possibile… Come non crederci del resto? Firenze ha bisogno di sognare”.

Brivido Torino Foto Copertina De Sisti

Redazione

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