Sousa allo specchio contro il suo passato

Sousa allo specchio contro il suo passato

Il portoghese ritrova sulla sua strada il Basilea che ha lasciato da vincente, ma di là delle Alpi non è mai stato molto amato: colpa del tedesco e non solo di quello.

Sousa allo specchio, con il suo passato subito di fronte. Era il 28 maggio 2014 quando il tecnico portoghese firmò il suo contratto con gli svizzeri del Basilea. Non aveva nemmeno finito di festeggiare lo scudetto vinto con gli israeliani del Maccabi Tel Aviv che preferì far cambiare rotta alla sua carriera, stavolta con direzione Svizzera. Ci mise pochissimo per far quadrare la squadra e pure per vincere l’ennesimo titolo nazionale, portando gli elvetici al sesto campionato consecutivo. Peggio di uno schiacciasassi. Un anno dopo, a solleticare la sua fantasia ci si è messa la Fiorentina. E di là dalle Alpi non l’hanno presa per niente bene, anche se lui, Paulo Sousa il vincente, lì, non era mai stato troppo amato. Tutta colpa delle difficoltà legate alla lingua tedesca. Nonostante la stagione da calciatore con la maglia del Borussia, con cui per altro ha vinto la sua seconda Champions (consecutiva) della carriera, “danke” e “auf wiedersehen” non gli sono mai stati troppo congeniali. Un handicap, questo, che lo ha reso inviso ai più fin dall’inizio, nonostante i risultati positivi.
Anche la ricostruzione fatta dai media svizzeri dell’addio è stata piena di veleno. Si è parlato di «divergenti opinioni tra le parti che hanno impedito il prosieguo dell’avventura insieme» e pure dell’inserimento ritenuto non ortodosso da parte dei viola. Più delle carezze, insomma, sono rimaste impresse le frustate. Su Blick, negli stessi momenti in cui a Firenze si sottolineava il trascorso bianconero del portoghese, si faceva ironia ricordando il risparmio di 2,8 milioni di ingaggio per un allenatore uscito al primo turno ad eliminazione diretta della Champions League. Nessun accenno alla vittoria del campionato con dodici punti di distacco dalla seconda in classifica, né tantomeno ai successi contro Liverpool e Ludugorets nel girone della massima competizione europea. Si è posto l’accento sull’insuccesso internazionale, dall’1-1 in casa, all’andata, contro il Porto fino al poker rimediato al Dragao, 124 chilometri dalla città di nascita dello stesso Sousa. Insomma, più che l’addio è rimasta indigesta la modalità, rimarcata anche durante la presentazione del suo successore, Urs Fischer, uno che, a dispetto del tecnico viola non ha considerato (a loro dire) Basilea una «stazione di transito». Quanto ai tifosi svizzeri, nessuno ha detto niente. Non uno striscione, né alcun grido fuori dal coro.
Adesso sono le strade dell’Europa che riuniscono i protagonisti. E Sousa, per altro contro la squadra più forte del girone I, non intende abbassare la testa. Intanto perché al St Jakob Park, sede della finale della competizione internazionale, vuole provare ad arrivarci lui con la Fiorentina e poi pure perché nel primo incontro assoluto tra i due club sogna essere l’unico ad uscire dal campo sorridendo. Sa bene che la sua ex squadra è imbattuta in campo internazionale: la gara d’andata col Maccabi valida per gli spareggi di Champions (il 2-2 del St Jakob) l’ha vista di persona e i giocatori li conosce quasi tutti. In gioco, stavolta, c’è (quasi) tutto: la credibilità nei confronti di Firenze, la città che in pochissimo tempo ha imparato ad apprezzarlo, mettendo in un angolo il ricordo di Montella, e pure l’autostima della sua squadra, rafforzata sì dal mercato ma comunque senza tantissimi protagonisti dell’ultima edizione di Europa League, quella terminata in semifinale contro il Siviglia laureatosi poi campione. Sousa non intende abbassare la testa. Ai sentimenti, in campo, non ha mai lasciato spazio.

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Francesca Bandinelli

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